DON GERVASIO FORNARA NEL SUO UFFICIO DELLA PARROCCHIA SACRO CUORE DI GESU', DEL VALENTINO, A CASALE MONF.TO

UN MISSIONARIO IN CANOA

richiedere il libro presso la Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù  tel. 0142452411

 Prefazione del vescovo monsignor Alceste Catella

La giornalista Veronica Iannotti ripercorre in questo libro-intervista la vera vita del missionario salesiano don Gervasio Fornara che, partito non ancora sacerdote per la Colombia, passerà quarantun anni nelle foreste dell'America Latina.      Fra guerre civili, narcotrafficanti, rapimenti, calamità naturali ed epidemie, il coraggioso missionario riuscirà, dopo mille peripezie, a fondare due Centri Missionari tutt'oggi esistenti, la prima emittente televisiva locale del Paese e diverse stazioni radiofoniche.   Una storia profonda e intensa, raccontata con quel pizzico d'ironia indispensabile per affrontare una vita di avventure.

 Una parte dei proventi derivanti dalla diffusione del libro verranno devoluti ai due Centri Missionari fondati da don Gervasio in Colombia.

Clicca qui per la brochure riguardante la Parrocchia/Basilica Sacro Cuore di Gesù

FOTO DELLA VITA DI DON GERVASIO FORNARA FONDATORE DI DUE CENTRI MISSIONARI NELLA FORESTA COLOMBIANA

 


INTERVISTA A DON GERVASIO SU ALCUNI DEI  MOLTISSIMI EPISODI DELLA SUA VITA IN MISSIONE

 

DIO NON SI LASCIA VINCERE IN GENEROSITÀ

Stavo andando lungo il fiume Iro verso Santa Rita con un gruppo di persone proveniente da Medellin che mi dava una mano nei vari villaggi della mia Missione. Il fiume si seccò e lasciammo le canoe a Vivo Vivo, per poi proseguire a piedi.   Verso Mezzogiorno ci fermammo per riposare e mangiare due gallette contate a testa, come spesso capitava.
 
Stavamo pregando quando giunse una donna che veniva da un altro fiume a piedi e che si fermò presso di noi; all’improvviso tira fuori dalla bisaccia un grande pane che era andata a recuperare molto lontano per i suoi
 bambini e ce lo offrì. Rispondemmo  che avevamo già pranzato (erano bastate come sempre solo le due gallette N.d.r.) ma  lei non ci fa caso,  prende quel pane, lo fa a pezzi e ne dà un pezzo a ciascuno di noi.
 
Un paio di mesi dopo scendevo in canoa lungo lo stesso fiume che era in piena e pioveva a dirotto, quando davanti ai vogatori vedemmo una canoa che stava per schiantarsi contro una roccia in mezzo al fiume: c’erano una donna e due bambini.  Fermammo la nostra canoa, i vogatori si gettarono in acqua, la canoa della donna si sfracellò, mentre lei prendeva un bambino e i vogatori presero l’altro bambino e la stessa donna con il primo bambino.

Un mese dopo passavo nei miei diversi villaggi e volli cercare quella signora per ringraziarla per aver condiviso con generosità il pane con me ed il mio gruppetto. La donna in tutta risposta mi disse che era lei a ringraziare  per avere salvato la sua vita e quella dei suoi figli.
 
Non l’avevo riconosciuta per il maltempo e le condizioni di disperazione in cui si trovava. Lei molto generosamente ci aveva dato nella sua povertà tutto il pane che aveva e Dio le ha salvato la vita.

Dio non si lascia vincere in generosità.

 

 LA FEBBRE DELL'ORO 

Parla Don Gervasio del suo primo centro missionario di Condoto:
 
Condoto è un territorio molto ricco di  platino (4° produttore mondiale) e di  oro (2° produttore in Colombia). La ricerca avviene nei fiumi, torrenti e ruscelli in modo artigianale, con i famosi piatti (in spagnolo "batea") pescando nell'acqua.

Quando è stata realizzata la strada nella foresta, sono arrivati uomini bianchi con draghe e ruspe, che indubbiamente estraevano quantità di materiale prezioso che faceva gola agli abitanti, e così
 sorsero dei diverbi relativi ai confini dei territori anche solo per decine di centimetri di terra.

In un villaggio di nome Opogodò, ad un'ora a piedi da Condoto, in una bettola fra ubriachi si ebbe una rissa ed uno degli uomini bianchi accoltellò un uomo del posto uccidendolo. I bianchi si diedero alla fuga e ci fu la caccia al “bianco”.
 
Mentre si trasportava il cadavere per il funerale, arrivando al villaggio, l'odio della gente era fortissimo. Arrivai alla cappella, e feci portare un tavolino fuori davanti alla chiesetta, provocando una violenta reazione di un gruppo di persone (caporioni) non del posto.
La mia spiegazione fu semplice: “guardatevi attorno e contate la gente, in chiesa non ci staremmo solo in una decima parte”. Accettarono.  Però nel momento penitenziale, dissi loro: “sono sempre stato sincero con voi, il motivo vero per cui non entriamo è questo: né io né voi siamo degni di entrare: io perché  dopo tanti anni non sono riuscito a presentare il vangelo del perdono, e voi guardatevi in faccia e negli occhi, e vedete se i sentimenti che provate sono degni della presenza di Dio.
 
Dopo averlo portato al cimitero, dissi loro che la chiesa sarebbe stata chiusa. L'avrei aperta solo se la domenica seguente (era lunedì) si fossero presentati tutti in massa alle 9.30 a fare un atto sincero di riparazione.
 
Il giorno dopo (martedì) corsi dal Vicario Apostolico, per informarlo dell'accaduto, perché io non avevo nessuna autorità per chiudere la chiesa. Il vescovo era riunito con tutto il clero, tutti già conoscevano gli avvenimenti, e quando chiesi perdono per la decisione presa, lui invece si complimentò per la fermezza usata.
 
Da allora e per vari mesi sapevo di essere minacciato, ma nel villaggio prevalse la saggezza e si capì che non si doveva percorrere la strada della violenza.
 
N.d.r.

Ma le minacce di morte arrivavano sempre di più anche se don Gervasio continuava ad ignorarle, quando giunse il tempo della Messa di trigesima del defunto. Il missionario dovette attraversare un lungo sentiero attraverso la foresta per arrivare a dire la Messa nel villaggio dove lo aspettavano i famigliari dell’uomo ammazzato appunto un mese prima.
 
Molte persone della sua missione avrebbero voluto accompagnarlo e scortarlo per difenderlo da una possibile morte ma don Gervasio non volle perché diceva che avrebbero ucciso anche loro.
 
Quando partì percorrendo una scorciatoia nella foresta pregava, e dal luogo di destinazione la gente lo attendeva con trepidazione pregando anch’essa che arrivasse salvo.

Tutto andò bene e il missionario riuscì a tornare a casa nella stessa maniera con grande giubilo di tutti. E tutti lo amavano.

 

 

Don Gervasio non pensa alla politica ma al bene della sua Missione

 Nella capitale regionale ISTMINA si ruppe un gran trasformatore di corrente e la capitale di questa regione rimase completamente al buio, allora le autorità regionali arrivarono con il camion a prendere il trasformatore in un paese del centro missionario di Don Gervasio che ovviamente sarebbe rimasto privo di elettricità. Il missionario  con molto coraggio fermò tutti e si mise davanti alle autorità regionali. Queste lo minacciarono di chiamare la polizia, il sindaco e ulteriori rinforzi.
 
Mentre succedeva tutto questo arrivò dietro di lui tutta la popolazione della sua missione e le autorità regionali si ritirarono. Il superiore diretto di Don Gervasio lo chiamò da Medellin preoccupato chiedendogli cosa era successo,
  in quanto gli era stato detto che si stavo mettendo in politica.

Don Gervasio candidamente gli rispose di aver fatto solamente il suo dovere e cioè di aver difeso la sua gente da un brutto sopruso.

 

 

don Gervasio: i soldati GOVERNATIVI e i guerriglieri della FARC

 Nel secondo centro missionario che ho fondato (Buenaventura) dove è presente il fronte 30 della Farc (Fronte Armato Rivoluzionario della Colombia), l’ammiraglio capo della sicurezza della regione del porto mi ha fatto chiamare per dirmi che anche se mi vedeva lungo quella strada della foresta della mia missione  a piedi sotto il sole tropicale e la pioggia torrenziale non aveva mai permesso ai suoi uomini che pattugliavano il settore di raccogliermi con i loro mezzi perché i guerriglieri non pensassero che fossi un loro informatore;   aggiungendo che lui avrebbe pensato la stessa cosa se mi avesse visto con i guerriglieri.

Io gli ho risposto: “quello che a me interessa è la vita sia dei suoi uomini sia quella dei guerriglieri. Per cui sappia che mai dirò né della Vostra presenza a loro, né della loro a Voi.
Perché io sono per la vita e non sono d’accordo per la violenza, per cui mai la provocherò, e farò di tutto per salvare la vita di tutti."

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Casale Monferrato, 25 settembre 2011, don Gervasio officia la Santa Messa presso la Parrocchia del Cuore Immacolato di Maria in occasione del messaggio da Medjugorje

    
   
   
 
      

VIDEO DELL'OMELIA DI DON GERVASIO PRESSO IL SANTUARIO DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA DI PORTA MILANO
CLICCARE SU:
http://m.youtube.com/watch?v=3hiGQJNBRDs

DON GERVASIO PARROCO DELLA BASILICA DEL

SACRO CUORE DI GESU'

dove si possono lucrare le stesse indulgenze plenarie della Basilica di San Pietro

Domenica 25 settembre 2011 è stato particolarmente coinvolgente, il periodico incontro di preghiera alla Parrocchia del Cuore Immacolato di Maria, a Porta Milano. Dopo la lettura del Messaggio dato dalla Madonna a Medjugorje, la Santa Messa è stata celebrata da Don Gervasio Fornara, missionario salesiano che è stato uno dei primi sacerdoti a Casale Monferrato che ha accolto favorevolmente i messaggi di Medjugorje dando anche la sua disponibilità per accogliere la testimonianza di una delle veggenti (Marija Pavlovic) nel 2004.
Don Gervasio in 41 anni di missione e 43 di sacerdozio ha fondato nella foresta colombiana (dove si spostava solo a piedi o in canoa) 2 centri missionari nelle regioni di Choco’ “Buenaventura” e “Condoto” con 40 villaggi e più di 40.000 tra indios e africani (deportati dall’africa dagli spagnoli), sormontando ostacoli di tutti i generi con l’aiuto della Madonna.


Don Gervasio, un missionario tra la gente


presso la chiesa di Porta Milano
il Parroco del Valentino Don Gervasio  Fornara,

 missionario salesiano per più di 40 anni in Colombia,
ha presieduto il periodico incontro,
(
portato avanti ogni mese dal 2010 dal parroco del Santuario Cuore Immacolato di Maria di Casale Monferrato,don Giuseppe Cesana,)
 in collegamento all’arrivo del messaggio mensile da Medjugorje,  officiando la Santa Messa, preceduta da Rosario e seguita dall'Adorazione, in coincidenza della sua partenza per i  due centri missionari
da lui fondati nella foresta colombiana.

 

Don Gervasio è stato uno dei primi sacerdoti a Casale Monferrato che ha accolto favorevolmente i messaggi di Medjugorje dando anche la sua disponibilità per accogliere la testimonianza di una delle veggenti (Marija Pavlovic) nel 2004.

In quell’occasione poiché non era stato possibile effettuare la testimonianza nella chiesa del Valentino, (per colpa dell'organizzatore che non aveva informato preventivamente il Vescovo e per di più aveva stampato il programma dettagliando che l'apparizione sarebbe avvenuta ad una certa ora precisa ed esattamente alle 6,45, ora legale,  il Vescovo aveva ordinato di chiudere la Chiesa N.d.r.) l’incontro si era poi svolto nel prato adiacente alla chiesa di Porta Milano, proprio dove durante la messa di domenica 25 settembre prossimo terrà l’omelia collegando il messaggio di Medjugorje al Vangelo del giorno, Vangelo che Don Gervasio annunziava quotidianamente in  quei 4 decenni  di missione nella foresta colombiana. 

Proprio in coincidenza con la visita della veggente Marija del 2004,  viene spontaneo  ricordare bene la figura di Don Gervasio proprio in collegamento con fatti provvidenziali ovviamente guidati dalla Madonna quali:

 



A)in poche ore mentre già 2000 persone stavano già arrivando a Casale ((e ci si disperava perchè anche con l'aiuto del Comune e della Questura di Casale ancora non si era trovato il luogo dell’incontro ), provvidenzialmente all’ultimo momento era stato individuato il luogo nel prato attiguo alla Chiesa del Cuore Immacolato di Maria di Porta Milano per il quale i frati, anche se non immediatamente, e non senza una piccola riluttanza per non dispiacere  al vescovo avevano dato il loro assenso.

B) provvidenzialmente in neanche un’ora sono arrivate da Santhià 2000 sedie ed il palco necessario per la Santa Messa e l’incontro fra la veggente ed i fedeli;

C) provvidenzialmente pioveva a dirotto intorno a Casale ma invece non a Casale dove in quel giorno di aprile un sole fortissimo ha dovuto far ingegnare l'organizzatore (vi erano pure molti anziani e malati) a farsi portare 2000 fogli di formato A3 immediatamente dalla segreteria del Centro Studi Galileo che un'opportuna équipe(..!) in brevissimo tempo ed in modo molto professionale (!) era riuscita a trasformare in 2000 cappellini contro il sole  (come si può notare da lacune foto, cliccando sul primo incontro con Marija, per cui la veggente aveva umoristicamente salutato tutti uscendo con  la battuta se i primi cristiani si sarebbero così difesi dal sole!!!)

 

 

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Sempre il 25 settembre alle ore 22,00 dopo la Santa Messa Don Gervasio farà il suo saluto prima della partenza  per la Colombia (rispondendo alle domande sulla sua vita di evangelizzazione), dove lo stanno attendendo con ansia.

 Infatti ritorna (si spera temporaneamente) nei due grandi centri missionari da lui fondati  43 anni fa nella foresta colombiana, che è la seconda regione più piovosa del mondo  e cioè quella del Chocò: il primo chiamato “Condoto”, allocato su quattro fiumi con  un totale di 40 villaggi, e l’altro sulla costa dell’Oceano Pacifico Colombiano che ha per centro il “Porto di BuenaVentura”. 

La missione  di Don Gervasio fu naturalmente di PREDICARE IL VANGELO, per aiutare gli indios e i discendenti degli schiavi africani deportati dagli spagnoli, ANCORA OGGI PARTICOLARMENTE BISOGNOSI DEL SUO AIUTO E QUINDI ANCHE DELL'AIUTO DEI FEDELI CASALESI.

Ha dovuto convivere durante gli anni della missione con il “fronte 30”, guerriglieri della Farc (Forza Armata rivoluzionaria della Colombia), in un luogo in cui l’unico modo per spostarsi era in canoa o a piedi (molto raramente in jeep) .

Nella foresta colombiana si è svolta questa storia incredibile del missionario Don Gervasio cominciata 41 anni fa, sacerdote da 43 anni, storia densa di vicende anche avventurose.
(Vedi cliccando qui foto e alcune delle numerose storie della sua vita missionaria nella foresta colombiana). 

Il suo lavoro di missionario, da un estremo all’altro del territorio ( ci sono 57 km che il missionario percorreva appunto a piedi o in canoa)  consisteva proprio nei rapporti umani con la gente , annunciare il Vangelo di persona e costituire comunità laicali di lavoro negli stessi villaggi. 

Una caratteristica importante che Don Gervasio vuole sottolineare è che ha sempre rispettato ed appoggiato le tradizioni delle gente e la loro cultura: “ho imparato da loro oltre alla lingua, il modo di vivere, ad essere una persona umana, cristiana e un sacerdote”.

Nella sua umiltà dice di non aver costruito nulla, ma “mi sono interessato solo a creare comunità e per questo credo che vogliono che io ritorni definitivamente ma sanno che io vado da loro come invitato per la celebrazione relativa alla fondazione dei villaggi missionari ."

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